La paura non è un problema

Quello in cui si crede (che sia Buddismo o un’altra cosa) ci spinge ad andare avanti. Noi abbiamo scelto questa pratica buddista, che ci aiuta tantissimo a procedere. Ma la pratica non è semplicemente fare Gongyo, Daimoku, partecipare alle riunioni: quella è la forma della pratica. Ci vuole la decisione personale. A seconda di quanta decisione, di quanta convinzione si ha, di come è la propria fede, la propria pratica, viene fuori la forma, il modo di praticare. Ma guardando solo il modo di praticare non si vede altro che la forma. Per questo non è possibile giudicare dall’esterno la pratica degli altri… Usare bene la pratica vuol dire per prima cosa usare il Daimoku per tirare fuori saggezza e coraggio. È importante partire sempre dal Daimoku, indipendentemente dal problema. E praticare per gli altri. Il secondo presidente della Soka Gakkai Josei Toda chiamava “pratica del mendicante” quella di chi chiede continuamente al Gohonzon benefici personali “in cambio” di azioni per kosen-rufu, pretendendoli uno dietro l’altro, come se il Gohonzon ci fosse debitore di qualche cosa. Col tempo si impara che per realizzare i desideri personali bisogna fare azioni per la felicità degli altri. Il problema non diventa più il mio desiderio ma la felicità dell’altro. Il Budda ha il desiderio costante di rendere felici tutte le persone, insegnando loro a fare come lui. Questo per noi è shakubuku, cioè trasmettere la Legge mistica: aprire la Buddità presente nella vita di ogni essere vivente. È il cuore della nostra attività, ed è anche il cuore dell’insegnamento buddista. Il desiderio di fare stare bene gli altri fa stare bene noi, e ci fa rimanere giovani e attivi. Il Buddismo è incredibilmente grande, sono io che non lo so usare in tutta la sua grandezza, e che con il mio cervello lo faccio diventare piccolo: questa è un’offesa alla Legge. Se pratico male sto offendendo la Legge. È difficile praticare correttamente. Dovremmo ricambiare il debito di gratitudine in base al principio di engi (il principio dell’origine dipendente): io ora sono qui grazie all’esistenza di tante altre persone. Perché ognuno di noi esista devono essere esistite tantissime persone prima, e se ora siamo in vita dobbiamo provare gratitudine per tutte le persone. La gratitudine verso la Soka Gakkai, verso il maestro, verso tutti i membri, verso le persone che praticano e quelle che non praticano deve essere la medesima. Ognuno ha la gemma della Buddità cucita nel vestito (da una parabola citata nel Sutra del Loto; vedi Il Sutra del Loto, Esperia, pp. 194-195). Questo è kosen-rufu: ricambiare la gratitudine rivelando agli altri che possiedono la Buddità. Il Buddismo di Nichiren Daishonin è tutto lì. Senza la pratica “per gli altri”, la “pratica per sé” non funziona. Bisogna avere coraggio, nel senso di “decisione”, e allora si può affrontare qualunque difficoltà. Questo diceva il Daishonin: se comincio a insegnare il Sutra del Loto, sicuramente sorgeranno molte difficoltà (tre ostacoli e quattro demoni). Ma se decido non posso più indietreggiare e devo essere pronto ad andare fino in fondo. Del resto se il Daishonin non avesse parlato, se non avesse avuto il coraggio di trasmettere il suo insegnamento, il suo Buddismo non sarebbe valso nulla. BS 104 
ncontro con Tamotsu Nakajima a cura di Marina Marrazzi e Alessandra Fornasiero Praticare il Buddismo di Nichiren Daishonin

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