Eravamo 262. Siamo rimasti in 45 - San Martino del Carso, Sagrado (GO) il 27 giugno 1916

Il 27 il 1° Battaglione ebbe il cambio da noi, e la mia Compagnia occupò un posto avanzato sul San Martino. Questo posto avanzato lo chiamavano “Vicinanza”, causa che a quel posto era morto un bravo Capitano, in un momento che incitava i suoi soldati all’assalto, e per una ricordanza del suo nome fu chiamato “Vicinanza”, così era il suo cognome (il capitano Giacinto Vicinanza, nato a Salerno, comandava una compagnia del 47° fanteria. Venne ucciso in un posto avanzato di San Martino del Carso il 28 giugno 1916. Quel posto avanzato prese il suo nome e così è ricordato nelle memorie dei soldati.
Il 27 e il 28 giugno 1916, l’artiglieria nostra, di tutti i calibri, incominciò a bombardare le linee nemiche senza un momento di tregua.
Alla sera del 28 giunse l’ordine che la VI e la VII Compagnia del 47° Reggimento dovevano fare una dimostrazione, e se era possibile di conquistare la prima linea nemica, che da noi era lontana appena 15 metri. Questa dimostrazione doveva servire per il sol scopo di far comprendere al nemico che noi vogliamo avanzare da questo punto, e per ammassare le forze nemiche su questo punto; invece, alla notte, i nostri dovevano avanzare dalla parte di Monfalcone e di Duino.
Il giorno 28 giugno fu un giorno molto ventoloso, e l’acqua cadeva senza tregua, che noi eravamo tutti bagnati da capo a piedi.
Verso le ore 6 di sera venne dato l’ordine di andare all’assalto. Innestammo tutti la baionetta e, pronti, aspettavamo il comando del nostro Capitano. Finalmente sentiamo gridare: “Avanti Savoia!”.
Ufficiali, graduati e soldati, tutti un’anime, uscimmo dalla trincea nostra; arrivammo senza nessuna perdita alla trincea nemica, ma la trincea nemica era stata costruita di cemento, e non si poteva entrare da nessuna parte. Con vanghette, piccozzini, a colpi di baionette, potemmo fare qualche buca ed entrare dentro; intanto il nemico, che ci aveva visto il nostro movimento, incominciava a tirare con le loro mitragliatrici, che erano state bene piazzate sopra il San Michele, e ci pigliavano ai fianchi, e seminavano strage.
Un mondo di feriti giacevano a terra senza fare nessun movimento, parecchi dei nostri soldati, per mezzo di qualche buca che avevano fatta, erano penetrati dentro.
Io ed il Tenente Coen Mosè, leccese, entrammo dentro da una buca.
Ci accorgemmo che c’erano parecchi fili telefonici, a colpi di vanghetta li tagliammo; in quel momento sentiamo i nostri soldati gridare: “Savoia!”. Gli Austriaci che erano dentro gridavano: “Urrà!”.
Insomma, venne una lotta a corpo a corpo, non si sentiva altro che gridi, spasimi, lamenti, colpi di baionette... insomma, non si capiva niente! Veduto il pericolo che gli Austriaci erano stati fin quel momento vincitori, io con il Tenente Mosè tagliammo i fili telefonici e cercammo di uscire da quella trincea.
Appena usciti, una bomba a mano che gli Austriaci buttarono a noi venne a ferire il Tenente alla schiena. Vado per aiutarlo e m’accorgo che gli Austriaci, per mezzo di un loro camminamento, scendevano alla prima linea. Allora avverto il Tenente, lo piglio a spalle e via! Lo strascino alla nostra linea di partenza, passando in mezzo al piombo nemico, solo che una pallottola venne a scivolare sopra il mio elmetto, ed una scheggia venne a ferirmi alla faccia, ma fu una ferita leggermente, che nemmeno io stesso la curai.
 Il mio Capitano pure fu ferito alla fronte, e il Tenente Marino morto dalla mitraglia appena che fu uscito dalla nostra linea. E graduati e soldati, chi rimase morto, chi ferito, e quelli che erano entrati nella trincea nemica rimasero prigionieri del nemico. Insomma, della mia Compagnia, che era formata da 262 fra soldati e graduati, ne erano rimasti appena che quarantacinque, compresi quelli feriti leggeri, e tutti erano ritornati alla linea nostra.
Dal diario di Antonio Santo Quintino Preite militare, 47° reggimento fanteria, brigata Ferrara, Caporale, poi sergente


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