Col della Beretta – monte Grappa 11 dicembre 1917
Una
sera fui mandato con l’aspirante, Ingignoli, da poco tempo venuto
in compagnia, ad eseguire una recognizione versa la prima linea per
poter poi essere di guida ai reparti quando fossero stati chiamati di
rinforzo. Orientandoci alla meglio pervenimmo alla prima linea e
prendemmo cognizione delle posizioni verso Val Cesilla; illustrateci
da alcuni ufficiali della Brigata Abruzzi. Il ritorno c’impensierì
un po’; una fitta nebbia calava rapidamente a toglierci ogni
possibilità di orientamento, e noi, nuovi dei luoghi, stentammo
assai a riunirci verso la mezzanotte, al nostro reparto. Vi trovammo
una novità: il preavviso che il nemico avrebbe con ogni probabilità
effettuati tiri con proiettili a gas, per ricambiare lo scherzo
giocatogli dalle nostre artiglierie la notte precedente. Ne istruimmo
i fanti, constatammo le condizioni delle maschere polivalenti,
predisponemmo i sacchi fumogeni e quindi Ingignoli ed io, cacciatici
nel nostro buco, restammo ad aspettare gli eventi. E questi non
tardarono perché alle due della notte le artiglierie avversarie
iniziarono un fitto bombardamento della valle. Qualche granata e
qualche shrapnel, intercalavano i sibili degli altri proiettili che
si rompevano con un lieve colpo sordo.
Cacciai
la testa fuori e fiutai: l’acre odore del cloro impregnava l’aria
fatta irrespirabile. Balzai dalla mia tana e corsi dal capitano col
quale concertammo rapidamente il da farsi, quindi strisciando mi
portai tra i fanti cui, in mezzo al fragore dei sibili e degli
scoppi, urlai di mettere le maschere e tenersi pronti con le armi in
pugno. Dopo tre ore il bombardamento cessò ed un vento
provvidenziale sgombrò rapidamente la valle dei miasmi mefitici.
Respirammo a pieni polmoni e riprendemmo il nostro lavoro di
sterratori.
Mentre
i fanti in silenzio lavoravan di piccone e di pala, andai con Santoro
a ispezionare il fondo valle, presso un piccolo cimitero, e ricordo
che le nostre artiglierie controbattevano intensamente le avversarie,
e che i proietti attraversando la valle ci davano l’impressione di
essere sovrastata da una grande arcata sonora fatta di sibili, di
guaiti, di miagolii, di ruggiti di tutte le tonalità.
Verso
le nove del mattino il bombardamento nemico, ma non più fatto di
proietti a gas, riprese furiosissimo e c’investì d’una grandine
di colpi che battevano il terreno sconvolgendolo paurosamente.
Addossati al monte, quasi volessimo immedesimarsi, storditi dagli
scoppi laceranti aspettavamo gli eventi. Ero vicino al capitano Adamo
e ricordo di un colpo che venne a scoppiare lì presso aprendo una
buca ai nostri piedi. Ci guardammo trasecolati di vedersi a vicenda
illesi; però mi fu necessario sincerarmi che non ero ferito, e mi
tastai nervosamente.
Dall’alto
della valle, ad un tratto, vedemmo alcuni uomini della Brigata
Abruzzi venire verso di noi disordinatamente. Alcuni correvano
gesticolando, altri avanzavano barcollando, qualcuno cadde per non
più rialzarsi. E l’artiglieria li maciullava.
La
nebbia che calò densa ci velò lo spettacolo orrendo.
Ci venne un
ordine: star pronti. Mi raccolsi intorno ai miei fanti e li
incuorai.
Un altro ordine subito: avanti. Dove? Mistero!
Dov’è
il nemico? E chi lo sa!
Prendiamo
a salire il dorso ripido del monte, la nebbia ci avvolge sempre
impedendoci di vedere. D’improvviso alcune pallottole c’investono,
provenienti dalla nostra destra, quasi da tergo ed alcune ombre si
profilano nella nebbia. Fermi! Son nostri!... – Saliamo ancora
ansimando. Passando in mezzo a due baite il caporale maggiore
Montruccoli cadde ucciso da una pallottola in fronte. Mi chino a
guardarlo, povero ragazzo! Sappiamo che il nemico aveva preso il
passaggio come mira d’un tiratore scelto. Avanti ancora. A terra!
Alcune
vedette nemiche sono presso due imbocchi di caverna. Un balzo. Le
vedette sono uccise, In una delle caverne, fonda tre metri,
catturiamo un graduato e sei uomini. L’altra caverna è appena
incominciata. L’operazione rapida s’è svolta in tutto silenzio e
possiamo proseguire; ma le falciate di quattro mitragliatrici che fan
fuoco incrociato ci arrestano. Impossibile andare avanti. Gettatici a
terra, strisciando retrocediamo e ci ripariamo dietro un muretto a
secco alto appena mezzo metro. La nebbia diradatasi ci consente di
vedere, a breve distanza, le posizioni nemiche: postazioni di
mitragliatrici ben guarnite, vedette che ci sorvegliano.
Apriamo
il fuoco rabbiosamente. Il nemico non risponde da quelle sue
posizioni vicine, ma prende a batterci con le artiglierie di tutti i
calibri.
Ricordo
un soldatino del 57° che venne ad accucciarsi fra il capitano e me e
che rimase sventrato da uno scoppio di granata.
Il
nostro muretto era una ben tenua difesa, ma noi restavamo aggrappati
lì disperatamente finchè l’artiglieria non ci avesse spazzati.
E
non si fece pregare troppo. Un 305 scoppiò in mezzo alla compagnia e
vi fece in largo vuoto, sradicando un grosso albero che era sulla
linea e proiettandolo in alto come una pagliuzza mulinata dal vento.
A breve distanza un altro, e subito un terzo. Vedo ancora, col cuore
serrato come allora, il mio caporale Garoglio, un bel fanciullone
alto e schietto, esser lanciato in aria dalla violenza della
esplosione, roteare in alto, la giubba rovesciata sulla testa, le
gambe divaricate, e ricadere spezzato.
La
posizione non poteva essere mantenuta e già la prima e la seconda
compagnia, rispettivamente a desta ed a sinistra nostra, avevano
ripiegato difficoltosamente. Il capitano Adamo, come impazzito, in
piedi in una larga buca di granata, gesticolava e sparava colpi di
pistola.
Gli
urlai:
-
Capitano, che si fa?
-
Si aspettano ordini!
-
Bene!
E
restai dietro il muretto sconquassato, con resti della compagnia: due
graduati e pochi uomini.
Il
capitano cadde riverso nella buca. Lo soccorsi; era in preda ad un
violento shock nervoso. Lo feci portare indietro, riunii i miei
poveri fanti superstiti e ripiegai saltando di buca in buca, di
albero in albero. Sul terreno sconvolto dal bombardamento che ancora
infuriava non restavano che i nostri morti. Presso le nostre
posizioni in Val delle Saline, in un caverna ritrovai alcuni degli
ufficiali del battaglione ed il mio capitano ancora fuori di sé.
Gettatomi a terra, fui colto come da un lieve deliquio. Mi feci forza
ed uscii fuori, ritrovai alcuni dei miei soldati, li raccolsi in un
avvallamento del terreno e riposai con loro.
All’alba
successiva un ordine ci mandò ancora all’attacco, con l’obiettivo
di occupare la quota di Col Berretta. Ci disponemmo in catena, mi
posi davanti ai miei uomini ed avanzammo cautamente, protetti
dall’oscurità non ancora diradata dalle prime luci. Il cuore mi
balzava nella gola. Vedevo a qualche metro da noi le posizioni
nemiche, le mitragliatrici postate, le vedette che si muovevano
tranquille. Strisciavamo a terra trattenendo il respiro nello spasimo
dell’imminente conquista sicura.
La
seconda compagnia, a destra, dette l’allarme troppo presto.
Intuii
il pericolo, balzai in piedi col bravo sergente Stucchi, per superare
rapidamente la breve distanza, ed urlai raucamente:
- Savoia!.....
Le mitragliatrici nemiche apersero il fuoco insieme e c’inchiodarono.
Ci gettammo ancora a terra sotto la grandine dei colpi.
Con
la testa puntata dietro un grosso sasso sentivo il breve sibilo
rabbioso delle pallottole, impossibilitato di muovermi. I fanti a
terra, come compressi contro il terreno, aspettavano. Pareva
aspettassimo la morte. Il fuoco nemico sostò; come obbedendo ad un
ordine ci trovammo ancora in piedi ed a testa bassa ci lanciammo
urlando contro il nemico.
Ma
le inesorabili Schwarzlose stroncarono ancora il nostro tentativo e
ci costrinsero a rinunciarvi. Mentre ci apprestavamo ad un penoso e
difficile ripiegamento, con un improvviso contrattacco numerosi
nemici ci avvolsero sul fianco destro e con un tremendo lancio di
bombe a mano riuscirono a catturare Ingignoli col suo primo plotone.
Tentai intervenire, ma il soverchiante numero degli avversari mi
costrinse a recedere dal proponimento. Catturammo alcuni uomini ed un
ufficiale ferito ad una gamba e ripiegammo affranti presso le caverne
sulla linea conquistata il giorno prima. Ci restammo: eravamo ridotti
in pochi.
Dall’ufficiale
prigioniero un bel giovanotto biondo, Zarantino, sapemmo notizie
preziose sull’efficienza del nemico, potentissima sotto ogni
riguardo, e tale da stornare ogni velleità di agire profittevolmente
nell’enormi condizioni d’inferiorità in cui eravamo.
Ma
non era finito il nostro compito: alle 10 del mattino un ordine ci
lanciava ad un secondo assalto, a mezzogiorno ad un terzo, alle due
ad un quarto; l’ultimo! E tutti disgraziati. Ma il generale Di
Giorgio (Antonino Di Giorgio, comnadante del XXVI corpo d'armata Ndr)
“voleva” la quota di Col Berretta.
Noi
non gliela prendemmo – come nessuno poteva prenderla – ed egli
sfogò il suo sdegno non dando corso alle varie proposte di
ricompense!
Ma
noi sapevamo di aver fatto intero il nostro dovere. Quanti poveri
fanti lasciammo lassù e quanti buoni e cari colleghi!
Dal
diario di Gastone Bassi militare, 3° reggimento artiglieria da
campagna, compagnia automobilisti, Tenente, poi capitano di
complemento
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