Un puzzle chiamato Italia

Il XV secolo rappresenta per l’Italia un momento di grande sviluppo tanto sul piano economico quanto sul piano artistico e culturale tanto che questo periodo storico è conosciuto con il nome di Rinascimento. La Penisola si lascia progressivamente alle spalle le conseguenze della devastante crisi del Trecento, culmine della quale è stata la tremenda epidemia di peste del 1348, che ha colpito con particolare virulenza la Toscana e Firenze in particolare.
Dopo di allora la peste ha assunto il carattere di malattia endemica, in Italia come in Europa, ripresentandosi ciclicamente ogni vent’anni circa ogni volta colpendo più o meno intensamente, motivo per il quale la popolazione stenta a tornare ai livelli del periodo precedente all’epidemia.
Politicamente, agli esordi del ‘400, l’Italia conserva il suo tradizionale assetto policentrico, in particolare nel centro-nord della Penisola dove la ormai plurisecolare vacanza del potere imperiale ha favorito, a partire dell’XI secolo, lo sviluppo di esperienze di autogoverno cittadino. Tali realtà urbane di fatto indipendenti prendono il nome di “Liberi Comuni”. Le istituzioni comunali entrano in crisi verso la fine del XIV secolo quando la stanchezza generata dalle continue lotte fratricide spiana la strada alla costituzione di regimi signorili.
I signori si presentano di solito come arbitri della vita politica cittadina e arrivano al potere promettendo la fine delle violenze e la pace sociale. Le ambizioni di potere dei nuovi governanti conducono a nuove guerre che portano ad una notevole semplificazione della geografia politica italiana, con l’assoggettamento di talune realtà inglobate nei domini di altre confinanti, più forti e organizzate. È il caso, ad esempio, di Pisa e Arezzo, che cadono sotto il dominio di Firenze, oppure di buona parte dei comuni lombardi, assoggettati dalla Milano viscontea.
Proprio un Visconti, Gian Galeazzo, una volta preso il potere nel 1378 dopo avere tolto di mezzo lo zio Bernabò, si rende artefice di un grandioso disegno politico che lo porta a intraprendere una serie di fortunate campagne militari in Veneto, Emilia-Romagna e Toscana. Nel 1395 Gian Galeazzo riesce poi a farsi riconoscere dall’Imperatore Venceslao il titolo di Duca di Milano dietro pagamento dell’esorbitante somma di centomila fiorini d’oro.
Nei progetti del Duca vi è la costituzione di un forte stato visconteo che comprenda l’intera Italia centro-settentrionale capace, in prospettiva futura, di trasformarsi in uno stato nazionale italiano sul modello delle monarchie in via di consolidamento in Francia, Spagna e Inghilterra.
Tuttavia, la costruzione politica di Gian Galeazzo Visconti dimostra di essere troppo fragile al punto da non sopravvivere al proprio fondatore: alla morte del duca nel 1402, a causa della peste, i domini viscontei si contraggono nuovamente tornando alla sola Lombardia sia a causa dell’inettitudine degli eredi di Gian Galeazzo quanto per l’assalto degli stati confinanti, in particolare di Venezia.
La città lagunare si rivela a partire dagli anni ’20 del XV secolo la più formidabile rivale di Milano per il controllo della Pianura Padana. Venezia dalla fine del Trecento, invertendo una tendenza secolare, ha imboccato la via dell’espansione nella terraferma mediante l’assoggettamento dei territori veneti e friulani che vanno a costituire quello che prenderà il nome di “Stato de Tera”, contrapposto allo “Stato da Mar”, ossia i possedimenti della Serenissima situati oltremare.
La causa scatenante di questo mutamento di politica estera è costituita dalla necessità per la Serenissima di assicurarsi sicuri rifornimenti di derrate alimentari, grano in particolare, solitamente importate a Venezia dal Mediterraneo orientale, che però in quei decenni è messo in subbuglio dall’avanzata dei turchi ottomani. In poco più di cinquant’anni, fra il 1402 e il 1454, la Serenissima crea un dominio che si estende fra l’Isonzo a est e l’Adda ad ovest, sufficientemente solido da resistere ai tentativi di espansione da parte milanese in quella direzione come dimostra la grande vittoria conseguita il 12 ottobre 1427 nella battaglia di Maclodio (BS) dalle forze veneziane guidate dal condottiero Francesco Bussone, detto il Carmagnola.
Dall’altra parte la sconfitta subita rappresenta la pietra tombale per le ambizioni di conquista del duca di Milano Filippo Maria Visconti e più in generale la fine di ogni possibilità di unificazione dell’intera Italia centro-settentrionale, ancora possibile ai tempi di Gian Galeazzo Visconti. Alla fine degli anni quaranta del XV secolo Milano attraversa un periodo di grave instabilità politica dovuta da una parte alla morte senza eredi maschi del duca Filippo Maria Visconti con conseguente estinzione della dinastia, e dall’altra al rifiuto dei milanesi di riconoscere come nuovo signore Francesco Sforza, capitano di ventura e genero del defunto duca. L’opposizione della cittadinanza culmina nella proclamazione dell’effimera Repubblica Ambrosiana.
L’esperienza repubblicana ha però vita breve a causa dello stesso Francesco Sforza, a cui il nuovo governo ha affidato il comando supremo delle milizie milanesi perché difenda i territori lombardi dai nuovi assalti dei veneziani i quali hanno occupato Brescia e Bergamo approfittando del caos politico che attanaglia Milano.
Deciso a far valere i propri diritti sul ducato come successore del suocero, lo Sforza non esita a tradire la Repubblica Ambrosiana passando dalla parte dei veneziani con l’aiuto dei quali può cingere d’assedio Milano, nella quale Francesco entra trionfalmente il 25 marzo 1450 acclamato dalla folla come nuovo signore.
La Serenissima tuttavia non abbandona le proprie velleità espansionistiche verso la Lombardia. Allo scopo di piegare lo Sforza Venezia stipula un’alleanza con Alfonso V d’Aragona, re di Napoli, potendo inoltre contare sull’appoggio del duca Ludovico di Savoia e del marchese Giovanni IV del Monferrato. A tale schieramento si contrappone quello facente capo a Milano comprendente il marchese di Mantova Ludovico III Gonzaga, valente comandante al servizio di Francesco Sforza, oltre alle repubbliche di Firenze e di Genova.
Il conflitto si chiude solamente quattro anni dopo la presa del potere dello Sforza. Più fattori portano alla conclusione della guerra: da una parte vi sono le pressioni di Papa Niccolò V, dall’altra le preoccupazioni veneziane per i propri possedimenti nel Mare Egeo, sempre più minacciati dall’espansione dei turchi ottomani ormai sempre più inarrestabili. Desta particolare apprensione, non solo a Venezia ma in tutto l’Occidente, la notizia giunta l’anno precedente riguardante la presa di Costantinopoli da parte del Sultano Maometto II, datata 29 maggio 1453.
Il 9 aprile 1454 si arriva quindi alla firma della Pace di Lodi, che pone fine al pluridecennale braccio di ferro tra Venezia e Milano. Sottoscritto anche dai rispettivi alleati, il trattato prevede il riconoscimento definitivo di Francesco Sforza come duca di Milano. In cambio Venezia conserva Brescia e Bergamo e annette Crema, fissando il confine occidentale sulla linea del fiume Adda. La Pace di Lodi inaugura un lungo periodo di pace e stabilità durato ben quarant’anni.
Durante questi decenni gli stati italiani gestiranno i rapporti fra loro basandosi sul principio dell’equilibrio tra le cinque potenze maggiori (Milano, Venezia, Firenze, Napoli e il Papato), in base al quale nessuna di esse avrebbe dovuto prendere il sopravvento sulle altre. Altro fattore di stabilità sarà la costituzione della Lega Italica, un’alleanza difensiva comprendente i cinque stati maggiori e numerose potenze minori, paragonabile ai moderni sistemi di sicurezza collettiva.
Il funzionamento del sistema internazionale italiano verrà garantito, nel corso della seconda metà del Quattrocento, da una accorta gestione dei rapporti diplomatici, resa possibile anche grazie all’invenzione tutta italiana della figura dell’ambasciatore residente, che consentirà un migliore scambio di informazioni fra lo stato ospite e quello di provenienza del diplomatico.

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