La battaglia di Ragogna
Annibale
Calderale racconta combattimenti, bombardamenti, nemici, resa, cattura di prigionieri, spionaggio,
disciplina militare
a
Portogruaro (VE) il 31 ottobre 1917.
Durante
l’avanzata austriaca che segue la disfatta di Caporetto, a fine
ottobre del 1917, la brigata Bologna ha il compito di difendere il
ponte di Pinzano sul Tagliamento. È schierata per questo nei pressi
del paese di Ragogna, e sta per dare vita a una battaglia epica e
poco conosciuta della Grande Guerra, che terminerà con una sconfitta
per l’esercito italiano ma che risulterà fondamentale per
guadagnare tempo e impostare la linea di difesa sul Piave. Alla
battaglia di Ragogna e non solo, è stato dedicato un Museo della
Grande Guerra nato a San Giacomo di Ragogna. Al fatto d’arme il
sergente mitragliere Annibale Calderale ha dedicato alcune pagine
intense del suo diario di guerra.
31
ottobre 1917
Poco
prima dell’alba, scendemmo dal monte Peloso di Ragogna
attraversammo il Villaggio di Ragogna e ci schierammo a qualche
centinaio di metri avanti al villaggio stesso.
Si
era in 1^ linea a faccia a faccia con i tedeschi. Eravamo in un
boschetto con alberi di medio fusto , dipendevamo da un maggiore che
comandava un reparto del 137° Fanteria (Brigata Barletta) che era
schierato con noi. Fintanto fece giorno, si sentivano di tanto in
tanto scariche di mitra e fucileria, c’era già qualche ferito. Il
predetto Comandante ci fece spostare parecchie volte, da una
posizione all’altra facendoci appostare anche in posizioni non
adatte per mitragliatrice. In uno di questi spostamenti che ci venne
ordinato, la mia sezione: ebbe un morto ed un ferito (Spinelli).
Il
morto Bers.re Mazzi Gelindo. Era un bravo Bersagliere, educato,
disciplinato, rispettoso. Era presago della sua fine, la mattina mi
aveva detto “forse questa volta non la scamperò “ I tedeschi
hanno già invaso il mio paese ed io difenderò questa terra con
accanimento. Io stetti un poco a rincorarlo e confortarlo. Non si
potette dare sepoltura al Mazzi, in quanto il momento era critico.
Il Mazzi che era tiratore della mia arma fu colpito mentre
percorreva un tratto scoperto del bosco, di circa tre metri. A me ed
al Tenente Morra che avevamo preceduto il Mazzi sullo stesso terreno
non era successo niente. Ci buttammo a terra sotto la scarica di
Mitragliatrice Tedesca e ci salvammo. Dopo qualche tempo che io ed il
Ten.te Morra ebbimo raggiunta la posizione assegnataci.. non vedendo
la mia arma giungere, dovetti fare la strada a ritroso per
constatarne la ragione del mancato arrivo dell’arma (morte di Mazzi
e ferimento Spinelli).
Io
ed il Bersagliere Preziosi, l’unico Bersagliere rimasto illeso del
gruppo della mia arma, provvedemmo a trasportare l’arma alla nuova
postazione. Ma era giorno fatto, il fuoco però si era però
accentuato. Ad un dato momento vidi fra le due linee, avanzare una
figura umana, che si trascinava una vacca.
Non
distinguendo bene, pregai un aspirante del 137° Fanteria, che mi era
vicino e che era anche munito di binocolo di guardare bene, se la
persona avanzante fosse un Tedesco, avutone conferma, ordinai, ai
miei bersaglieri, il fuoco, contro il supposto tedesco. Si vide
allora l’individuo correre verso la nostra linea, lasciando la
vacca al suo destino, accolto da armi puntate contro di lui dai miei
bersaglieri e da me stesso. Gli gridai mani in alto , e chi sei, non
rispose, era tutto rosso in viso ed emozionato, lo perquisii, aveva
una roncola in tasca ed un foglio di riforma, si trattava di un
contadino italiano certamente; ad ogni buon fine lo consegnai ai
carabinieri per i futuri accertamenti.
Avevamo
ordine di spostarci continuamente da una posizione all’altra per la
nuova situazione che si veniva di momento in momento a creare, avemmo
ordine di abbandonare sul campo , mantelline, coperte tele da tenda,
armature per essere più liberi nei movimenti. Il fuoco di fucileria
e mitra era intenso, da parte a parte, avevamo delle perdite – dopo
qualche tempo sulla nostra linea irruppero i Tedeschi , al loro
apparire quelli del 137° Fanteria cominciarono a gridare i Tedeschi,
i Tedeschi e si dettero alla fuga. Noi rimasti soli togliemmo le armi
e ci spostammo su altre posizioni.
Avevamo molte perdite poco
prima dell’attacco Tedesco, quell’aspirante del 137 Fanteria,
cominciò a strisciare lentamente a ritroso sul terreno, il mio
Capitano che era vicino, gridò Tenente se si muove ancora un poco
sparo, noi eravamo tutti appiattiti sul terreno per ripararci dal
fuoco. Bastava che uno avesse voltato le spalle al nemico, in quella
critica situazione per essere seguiti da tutti. Il morale della
truppa era buio. A noi che non faceva impressione in fuoco del Carso,
eravamo divenuti pusillanimi di fronte al semplice fuoco di
fucileria. Intanto si seppe che il Ten. te Poli comandante la 2°
sezione insieme a tre Bersaglieri era deceduto nel primo pomeriggio.
Erano stati colpiti da una scarica di mitra all’uscita del riparo
di un monte su una strada incolonnati – i primi quattro della
colonna furono falciati . Era una giornata di sole, il clima era mite
verso le 16 il capitano vedendosi sempre più stretta la Compagnia da
tutte le parti, dai Tedeschi, tentò di aprirsi una via di uscita
attraverso Ragogna, che era alle nostre spalle.
Io dal mattino
alle 11 ero stato informato in via riservata dal Ten. Morra che
Ragogna era già occupata dai Tedeschi. La compagnia si riunì
all’estremità del villaggio, alla 1° sezione fu ordinato di
avanzare sull’unica via del villaggio, alle altre due sezioni di
avanzare a destra del villaggio. La mia sezione percorse una ventina
di metri sulla via di Ragogna senza incidenti dopo vi si scatenò
contro un violento fuoco di mitragliatrici, tornammo indietro, ci
riparammo dietro una casa, e mettemmo in postazione una
mitragliatrice sulla strada. I tedeschi cercavano di venire avanti ma
furono fermati dalla nostra arma che fu messa in azione. Esaurite le
munizioni che erano presso l’arma io ne portai della altre.
Si
teneva bene la posizione, tanto più che i Tedeschi non ripeterono
gli attacchi. Era passato poco tempo quando vedemmo sbucare dalla
nostra destra, la nostra 2° Sezione in corsa precipitosa inseguita a
qualche passo dai Tedeschi.
Anche
noi (1° sezione) ci accodammo alla 2° Sezione, cercando di sfuggire
ai Tedeschi all’estremità di Ragogna , dove era la 1° Sezione si
trovava un fossato e dopo i vigneti delimitati da filo di ferro
zincato per i confini di proprietà. Al vigneto che ci imbattemmo vi
era un regolare passaggio di fili di ferro, tutti si affollavano
verso quel passaggio. Io per sottrarmi al pericolo della cattura, non
seguii quel passaggio, ove regnava confusione. Infilai la testa e
mezzo corpo fra due fili di ferro orizzontali del recinto, quando
staccai i piedi da terra per proseguire nel passaggio sull’interno
i fili di ferro che sotto il peso del mio avevano ceduto, mi girarono
e io mi trovai con la testa in basso e conseguentemente con i piedi
in alto. In un momento molto critico, i Tedeschi mi erano alle
spalle. – Per fortuna riuscii ad afferrarmi ad una vite ed a
tirarmi nell’interno del vigneto. Da quel momento la mia compagnia,
che nonostante le forti perdite in uomini, si era mantenuta
disciplinata e combattiva si disciolse in piccoli gruppi. C’era un
rabbioso fuoco dei Tedeschi contro di noi.
Io mi nascosi in una
piccola macchia di cespugli, riuscendo a raccogliere in quel posto la
mia arma ed i scriventi. Durante l’ultimo trambusto il Bersagliere
Preziosi aveva abbandonato il treppiede della mitragliatrice, ma
riuscii a farlo riprendere. Al riparo dello stesso cespuglio era pure
il mio Tenente Sig. Morra e l’aspirante Sig. Beltrami della 3°
Sezione. I due ufficiali discussero sul da farsi, mancava circa
un’ora al tramonto, si pensò pure di cercare di resistere fino a
sera, e tentare poi di raggiungere la nostra linea. Ma non fu
possibile attuare il nostro piano, i Tedeschi ci avevano notati e
premevano da tutte le parti. Si sentiva il fruscio delle pallottole
sulle foglie dei nostri cespugli. Apparve prima qualche pattuglia
Tedesca di cui non veniva proprio verso di noi, non era più
possibile resistere, sarebbe stato un sacrificio inutile, ci
arrendemmo, dopo aver reso inservibili le armi.
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