Da solo, di notte, in trincea
Dopo
pochi giorni fui mandato col sergente Zaniboni e un altro soldato. Ci
presentammo a un comando nei pressi di quota 144. Ci accompagnarono
al posto che si doveva occupare per la mansione del nostro servizio.
In una vecchia trincea lasciarono il soldato. Dopo circa duecento
metri lasciarono me. E alla mia destra restava il sergente Zaniboni.
Il servizio era: posto di corrispondenza. Se il sergente mi portava
un ordine, io lo portavo all'altro soldato, e viceversa, se lo
portava il soldato lo portavo al sergente.
Erano
le otto di mattina. Io stesi il telo da tenda. Mi allungai sopra e
pensavo di dormire in pace qualche ora, perché il fronte era calmo.
Avevo proprio bisogno di un po' di riposo. Ma fu di poca durata,
perché alle undici incominciarono la controffensiva. Ci fu un gran
bombardamento d'ambo le parti e questo inferno di fuoco continuò
tutto il giorno e la notte seguente.
Io
ero sempre stato calmo a ogni pericolo. Ma non posso nascondere che
quel giorno, e specie la notte, quando tentarono di avanzare sulle
nostre linee, non vedevo nessun movimento, perché stetti sempre per
terra, allungato in una vecchia trincea. Sentivo passare sopra di me
tante schegge e pallottole e uno scarpiccio vicino. Ma non potevo
capire se erano i nostri, o gli Austriaci. In quella brutta notte la
mia paura era di restare ferito e, lì solo, di morire dissanguato.
La
mattina di poi, circa alle dieci, il fronte ritornò calmo. Allora,
piano, piano, mi portai sulla destra per trovare il sergente
Zaniboni. Ma trovai dei morti. Così capii che nella notte c'erano
stati gli Austriaci. Erano passati pure vicino a dov'ero io, ma non
mi videro. Dopo qualche mese seppi che il sergente l'avevano preso
prigioniero.
Andai
più avanti, a quota 144. Dietro una roccia vidi un piccolo
baracchino. Mi avvicinai. Mi si fece incontro un tenente e mi chiese
cosa volevo. Ma io avevo perso la voce. Dové avvicinarsi per
capirmi: "Senta, io ero al posto di corrispondenza. Ma
dall'altra sera non ho più visto nessuno. Così, senza bere né
mangiare, ora non posso stare in piedi". Allora mi diede mezza
pagnotta e telefonò al mio capitano che mi mandasse il cambio,
perché non ero in condizione di restare al mio posto. La sera,
appena fatto buio, venne a darmi il cambio un certo Lippi di
Serravalle Pistoiese. Piano, piano mi condussi di nuovo a quota 208.
Una
produzione FINEGIL e L'espresso con l'Archivio diaristico nazionale
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