Quaranta chili in spalla

Ubaldo Baldinotti scrive la sua memoria di guerra a 50 anni di distanza dall'inizio del Primo conflitto mondiale. Vive la trincea dal Trentino al Carso, dal 1915 al 1917: con la disfatta di Caporetto viene catturato dagli austriaci e finisce a lavorare come contadino in Baviera. Nonostante, l'armistizio dovrà aspettare l'agosto 1919 per ottenere la piena libertà della licenza illimitata. La sua testimonianza, giunta nel 2012 all'Archivio Diaristico Nazionale 
Pieve Santo Stefano, racconta le battaglie e gli orrori della guerra, ma anche i sentimenti di fratellanza che i soldati esprimevano anche nei confronti del nemico.
Racconta marce, stanchezza, assalti, combattimenti, cattura di prigionieri, religione, resa, nemici, cibo, famiglia, corpo a corpo religione, marce, stanchezza, disciplina militare, orrori, feriti, mamma, morti, fuoco amico, ritirata bombardamenti, prigionia, aeroplani, fame, fortuna e sfortuna, odio, amore.
Ubaldo Baldinotti racconta marce, stanchezza a Passo Valles (TN) il luglio 1915
Il soldato Ubaldo Baldinotti, in forza al 49° fanteria della brigata Parma, deve raggiungere, con i suoi compagni, la prima linea, al confine con il Trentino austriaco.
La sveglia fù suonata alle ore 1 di notte e dopo preso un po' di caffè, ci consegnarono i viveri di riserva e dopo poco partimmo, non erano ancora le ore 2 quando iniziammo la marcia, con lo zaino pieno in assetto di guerra con tutte le munizioni pacchetto di medicazione, e tutti gli attrezzi e pesava circa quaranta Kg.
Si marciò transitando da Agordo quindi raggiungemmo il paese di Cencenighe, dove a destra c'è il bivio che porta a Alleghe e Caprile fino a raggiungere Cortina d'Ampezzo, e durante la marcia transitammo da diversi paesi, e finalmente raggiungemmo il  paese di Falcade Basso, che era l'ultimo paese in terra Italiana.
Si traversò questo paesetto ma a un certo punto la strada finiva, e dal punto che finiva la strada, si cominciava a salire per una stretta mulattiera, che era tutta ingombra da grossi ciottoli e nel centro scorreva un rigagnolo d'acqua, già principiava a farsi scuro, e noi dovevamo ancora camminare, quando cominciammo a salire per la mulattiera, sembrava di salire come quando Cristo, salì sul Calvario dalla grande stanchezza, che tutti sentivamo non essendo abituati a marce cosi lunghe, e su un terreno cosi faticoso, e quando davano il segnale di alt per un po' di riposo, non ci si toglieva di dosso lo zaino, ma ci buttavamo a terra come si butta a terra una balla di cenci.
Dopo una marcia di circa 45 o 46 Km più morti che vivi, e che a tutti dolevano i piedi, raggiungemmo la vetta di Passo Valles la cima dove c'erano le trincee questa cima era a oltre i 2000 metri di altezza, e li si dette il cambio ai fanti del 60F.a.
Era già notte ci fecero montare le tende, e si credeva cosi di poter un po' riposare, dopo la lunga marcia iniziata alle ore 2 esclamando finalmente e finita, e ci si sarebbe potuti buttare a terra per poter un po' riposarci. 
Avevamo appena finito di montare le tende, e si credeva di poter riposare, gettandosi a terra sopra una coperta, che avevamo appena disteso per terra per sdraiarsi sopra, udimmo un fischio e nello stesso istante un grido era il comandante del nostro plotone, che gridava secondo plotone adunata, e ci ordinò di prendere il telo da tenda e i picchetti, la coperta e i viveri di riserva, pacchetto di medicazione e tutte le cartucce, mettersi il telo da tenda e la coperta avvoltolati a tracolla, il resto tutto dentro il tascapane, lasciare lì lo zaino perché, si doveva andare a dare il cambio al posto avanzato, che era in una posizione ancora più alta, e c'era da percorrere un'altra po' di strada in salita.
Eravamo un po' frastornati dalla grande stanchezza, a causa della lunga e terribile marcia che avevamo fatto per raggiungere la cima di Passo Valles, e un po' per la rabbia e a qualcuno, scappò qualche imprecazione, e qualche bestemmia, mentre il nostro sottotenente, che era pure lui un richiamato, ci esortava a essere calmi e ci incoraggiava, acciocché ci facessimo animo, con parole paterne dicendoci che questi strapazzi, a cui si era sottoposti a sopportare erano a causa della guerra, e che ormai bisognava far si di avere tanta forza, e costanza, onde poter sopportare con meno disagio possibile, gli sforzi a cui saremo andati incontro, ma sperando che tutto andrà bene sperando altresì che la guerra finisca presto, e che il buon Dio veglierà su noi tutti.
Queste erano tutte belle e buone parole e buone esortazioni, ma le nostre povere membra erano ridotte all'estremo limite che umana persona può sopportare, e al solo pensare che dovevamo rimetterci in cammino, e che essendo gia notte e molto buio e non si vedeva, fù un momento terribile, che non scorderò.
Il cammino fù molto faticoso e lungo, perché camminavamo su un terreno di montagna, e non era ne una strada ne una mulattiera, era un susseguirsi di un terreno tutto ineguale e spesso qualcuno cadeva, ci volle circa due ore prima di giungere al punto dove c'era il posto avanzato. Appena arrivati i fanti del 60 scapparono come lepri inseguite dai cani, e a noi non ci diedero ne ci spiegarono, nulla circa a come era il posto che noi dovevamo difendere, da eventuali attacchi del nemico, solo ci dissero attenti perché davanti a voi, non c'è nessuno c'è solo il nemico, attenzione a non addormentarsi perché qui dormire significa morire, e dette queste poche informazioni essi scesero giù dalla montagna.

 

Commenti

Post popolari in questo blog

Un puzzle chiamato Italia

Quota 126 del Vippacco