L'isola della morte – La presa del monte Nero -
Meno
gloriose di quelle di Plava furono le operazioni di sbarco oltre
Isonzo delle truppe italiane di fronte al monte San Michele. Una
volta occupata Gradisca, l'obiettivo dell'XI corpo d'armata fu quello
di affermarsi sulla sponda austriaca dell'Isonzo e di verificare la
presenza di truppe nemiche sul primo ciglione carsico sotto le
quattro come gibbose del San Michele.
Questo
tentativo era stato affidato alla brigata Pisa che aveva individuato
il punto più agevole in prossimità di un isolotto in mezzo al
fiume, all'altezza di Sagrado. La sua presenza avrebbe consentito di
costruire nella notte un primo ponte di barche e di trasbordare
alcuni reparti sull'isola, in attesa che i pontieri terminassero il
secondo tratto e si potesse sfilare sulla sponda sinistra con forze
sufficienti a stabilirvisi. Non tutto però andò come previsto e il
tentativo si risolse in un disastro che restò impresso nella memoria
dei soldati, tanto che da allora in poi l'isolotto venne chiamato dai
soldati “Isola della morte” . Un nome tanto evocativo è
giustificato dal fatto che esso fu il teatro del primo massacro a cui
assistettero in una fase in cui non si conosceva ancora la crudezza
della guerra di trincea e prevaleva l'ottimismo. Carlo Salsa ricorda
l'episodio nel suo diario di guerra attraverso il racconto di un suo
commilitone: “Mi ricordo la prima strage. Eravamo alcora al di là
dell'Isonzo, dinanzi a Sagrado in attesa. Una notte arriva l'ordine
di tentare il passaggio del fiume. Approfittando dell'oscurità, su
una passerella improvvisata, tutto un battaglione al completo riesce
a siglare alla chetichella. Gli austriaci, nemmeno un segno di vita:
pareva che non ci fosse nessuno laggiù. […] Tutto è facile,
semplice, primitivo. Scaglionati lungo la riva destra, nella notte
aspettavamo di passare anche noi. D'improvviso scoppia una
sparatoria, serrata, rabbiosa, che si propaga nel buio come un fuoco
di paglia: l'artiglieria nemica si sveglia di soprassalto, sbuca con
vampe subitanee da ogni dove. L'Isonzo zampilla di cannonate […]
Abbiamo dovuto assistere, senza poter far nulla, alla tragedia che si
svolgeva di là. La fucileria durò parecchio: poi, a poco a poco, si
diradò; giungevano fino a noi urla, invocazioni disperate, clamori,
lamenti di feriti. Che cosa si potava fare? Sparare? E dove? Nella
mischia, a casaccio?. Furono massacrati, tutti; di prigionieri qui,
con questa tensione esasperata, non si sente nemmeno parlare. Infine
la fucileria cessò del tutto e non giunse fino a noi che uno
sgomentevole urlio continuo fino all'alba”.
La
presa del monte Nero
“Giù
il cappello di fronte agli alpini , questo è stato un colpo da
maestro”, scrisse l'inviata di guerra austriaca Alice Schalek a
proposito della conquista del monte Nero. A tutti gli effetti la
conquista della cuspide di questo monte fu davvero un'impresa
militare e alpinistica notevole. Per chiunque visitando il Friuli
orientale oggi volga lo sguardo verso nord, non può sfuggire alla
vista quella guglia a forma piramidale che si staglia all'orizzonte:
spesso, nelle giornate terse, è ben visibile anche dal basso Carso,
addirittura dal mare.
Furono
la 35 e la 36 compagnia del battaglione Susa e la 31 e la 84 del
battaglione Exilles a prendere il monte sorprendendovi il presidio
austriaco di 200 uomini e 12 ufficiali. La leggenda vuole che pre non
far rumore gli alpini intrapresero la salita verso la vetta con gli
scarponi fasciati. La messe di medaglie e di encomi fu meritatamente
abbondante. La Grande Guerra degli alpini era appena cominciata. Le
prestazioni degli alpini furono riconosciute sempre per il loro
valore da commilitoni e avversari. Anche se spesso, in fanteria,
c'era chi vedeva negli alpini un corpo di privilegiati. Racconta
Carlo Salsa di aver ascoltato questo scambio di vedute fra i suoi
soldati:
“E
gli alpini?
Gli
alpini...gli alpini sono dei soldati in gamba, già! Fanno la guerra
anche loro, ma non come noi -
Crepano
anche loro veh!. Sul monte Nero...
Non
dico. Ma in confronto a noi, insomma, hanno dei vantaggi, e questo
non lo può negare nessuno...-
Se
vai a dirglielo ti mangiano a fette -
Gli
alpini sono proprio un corpo scelto, però...-
E'
vero. Però bisogna distinguere: Carso e tutto il resto. Fanteria e
tutto il resto”
Diatribe
che rientrano nel più ampio tema dell'imboscamento, di cui Attilio
Frescura, autore di Diario di un imboscato ce ne dà un'Idea: “Le
gradazioni dell'imboscato sono infinite. Il combattente ha sempre
qualcuno che è imboscato rispetto a sé, e a sua volta è imboscato
rispetto a qualche altro. La gradazione va dal soldato di pattuglia
al comandato al Ministero della Guerra in Roma, dove non arrivano né
i cannoni, né la flotta, né gli aeroplani. Così avviene che il
soldato di pattuglia, ritornando nella trincea, dice ai suoi compagni
che sono rimasti nel pericolo minore: - Ah siete qui, eh,
imboscarti?” E così via...
Università
degli studi Cà Foscari di Venezia – Facoltà di Storia – La
Grande Guerra Italiana le battaglie – docente prof. Coglitore Mario
– partecipante come uditore -
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