Sul San Gabriele, il Monte della Morte
Nel
1917, durante l'undicesima battaglia dell'Isonzo, il tenente Heinrich
Sauer del XIV Infantrie Regiment Austria Superiore "Grosseherzog
von Hessen" si trova coinvolto con la sua compagnia nei
ferocissimi combattimenti sul Monte San Gabriele, alle spalle di
Gorizia. Il racconto seguente è tratto dal suo diario di guerra.
Tratto da Prima di Caporetto. Decima e undicesima battaglia
dell'Isonzo. Leg GO
Il
7 settembre dopo una difficile marcia e con una temperatura infernale
raggiungemmo Crnice. Il reggimento avanza verso un destino fatale è
il monte San Gabriele intriso di sangue ci attira irresistibilmente.
Il serenissimo principe Schonburg, nostro comandante di Corpo, ha
richiesto il reggimento proprio per riconquistare il monte San
Gabriele. Dobbiamo tenerci pronti sul pendio orientale del monte San
Daniele nei pressi di Pri Peci la marcia di avvicinamento è
difficile, costantemente sotto il fuoco d' artiglieria e nell' ultimo
terzo esposto ai gas, niente acqua.
Ora
la faccenda si fa maledettamente seria. Tutti i carri e le pietre
diventano piccoli scrittoi e tutti pensano ancora ai loro cari ed
alle 8,30 di sera il reggimento, in fila, si mette in marcia. La
strada, coperta di polvere sottile che arriva alle caviglie, è
intasata dalle salmerie perchè solo di notte è possibile rifornire
il fronte. LA luna sparisce nelle impenetrabili nubi di polvere. Da
Sempas a tratti tre colonne e a volte gli uomini stracarichi si fanno
strada da soli, la colonna si interrompe in continuazione e qui e ci
saluta uno schrapnell che esplode alto nell' aria. Dal fronte tuonano
cupi i pesanti rombi di cannone e sull' orizzonte sfavilla un vero
spettacolo pirotecnico di razzi illuminanti. Alle 11 di sera, sopra
Loke, il reggimento scompare senza lasciare traccia e sono inutili i
richiemi, i fischi e l'invio di portaordini. Ricerca disperata e con
il giorno inizia l'inferno! Acchiappo la coda del mio battaglione in
un posto assolutamente inaspettato e raggiungo l' alta valle di Pri
Peci. Con le ultime forze ci arrampichiamo sul pendio orientale del
San Daniele e passiamo la notte su un po sul di fogliame di quercia
nella bassa boscaglia carsica, con la maschera antigas a tracolla.
Alle tre del mattino il battaglione giace in un sonno di piombo.
Proibito fare fuoco, montare le tende, fumare. Sentinelle per gli
allarmi e per il gas si occupano della sicurezza. Sul pendio dall'
altra parte esplodono le granate, ma il gas sibila inoffensivo e i
grandi gusci vuoti rotolano e rimbalzano a valle risuonando nel
pietrisco. Il reggimento mantiene un ordine esemplare, anche nei
giorni seguenti gli uomini rimangono così tranquilli e ben coperti
che nessun aviatore nemico scopre questa grande massa. 8 settembre.
Il sole è piacevole in questa mattinata piuttosto fresca anche se
siamo a soli 600 metri sul livello del mare. La regione presenta
caratteristiche da alta montagna; il terreno è prettamente carsico,
desolato e disabitato. Siamo accampati in linee sottili. Il fuoco
dell' artiglieria nemica sulla nostra valle è molto modesto, ma
proviene dai calibri più grossi e dura tutto il giorno. Logora i
nervi perchè i proiettili, precipitando da grandi altezze, ci danno
l' impressione di venire colpiti e si fanno beffe di ogni calcolo. Il
9 settembre alle 10 di sera primo attacco con i gas. Il boschetto
risuona del tambureggiare delle granate di grosso calibro ed il gas
si sprigiona soffiando e sibilando. Questo, che è il più spaventoso
di tutti i mezzi di guerra, ha un effetto inquietante, terribile, ma
grida d' allarme e fischi acuti tirano in piedi la truppa,
stanchissima. Si lamentano solo un avvelenamento e due feriti.
La
attività aerea da entrambe le parti è straordinariamente vivace.
L'area della teleferica con la strada di avvicinamento sono sotto un
fuoco pesantissimo, la gente ritorna esausta e vuota. Cominciano gli
attriti. In questo punto cruciale delle battaglia tuttele condizioni
sono disgraziate. Solo le salmerie funzionano e la truppa riceve un
vitto abbondante ed un po' di alcool.
10
settembre. La giornata scorre in febbrile attività. Sulla base di
schizzi, della cui correttezza è lecito diffidare, si discute con i
comandanti di compagnia e delle pattuglie d'assalto un piano
d'attacco fin troppo complicato: un'azione principale ed un'azione
secondaria con parecchie ondate di fanteria in un'aggrovigliata
successione. Ma chi sarebbe in grado di descrivere con sicurezza il
monte San Gabriele, questo moloc strenuamente conteso che divora un
reggimento ogni tre, quattro giorni e certamente, anche se non lo si
vuole ammettere, passa di mano quasi quotidianamente? Nel pomeriggio
ci fa visita il comandante di Corpo principale Schonburg. Non si è
lasciato impressionare dal sentiero intriso di sangue ed ancora una
volta è venuto a vedere i battaglioni ed a parlare alla truppa. Come
al solito arriva da solo, accompagnato soltanto da una guida.
Pronuncia parole serie e benevole, ai comandanti di battaglione
spiega chiaramente perchè questo sacrificio è necessario e come
tutto dipenda dalla riconquista e dalla difesa del San
Gabriele.
Posso certo affermare che dopo questa visita tutti noi
ci accingemmo più tranquilli alla missione mortale. Il battaglione
doveva iniziare la marcia di avvicinamento alle 7 di sera. Mi viene
ordinato di raggiungere la posizione due ore prima ed alle 5 del
pomeriggio, con il cuore pesante, mi metto in cammino accompagnato
dal mio aiutante, il sottotenente Frauendorfer. La strada è
terribile. Quando ci avviciniamo alla sella di quota 408, da dove
un'eccellente strada conduce dal bosco di Tarnova attraverso la
ridente vallata del Vipacco a Gorizia, comincia il fuoco
dell'artiglieria nemica, anzi, qui il fuoco non smette mai, non può
mai smettere perchè gli italiani devono tenere costantemente sotto
tiro questo importantissimo punto di collegamento. Qui il terreno è
letteralmente dilaniato, ovunque ci sono cadaveri di uomini e cavalli
insepolti, nessun essere vivente, nessun fumo che tradisca una
presenza umana. Il luogo può trovare la sua giustificazione come
libbo del San Gabriele, ma come punto d'osservazione per un comando
di settore con molto personale e scelto male.
Saltiamo tra le
pietre, ci arrampichiamo nelle doline, il rombo delle batterie è
incessante e finchè ci bastano le forze cerchiamo un masso per
ripararci. Una volta ci ripariamo anche dietro la carogna
maleodorante di un cavallo, ma infine raggiungiamo la caverna di
collegamento. Dopo un breve riposo superiamo la sella e, alla
gradevole ombra del San Gabriele e con una guida esperta, iniziamo la
seconda parte, la salita vera e propria. Si è fatto buio. La
tranquillità del pendio orientale fuori dalla vista del nemico ha un
effetto benefico, ma è solo un breve tratto, il sentiero prosegue
sul pendio meridionale e ricomincia l' inferno; la luce dolorosamente
luminosa dei riflettori rafforza l'impressione. Saliamo ansimando e
dappertutto immagini orribili, barelle messe di lato, abbandonate con
i cadaveri, il terreno disseminato di oggetti gettati via e, immagine
ancora più terribile, morti travolti e calpestati nel fango del
sentiero. Il San Gabriele è immerso in una luce accecante, da ogni
dove i nemici concentrano i loro riflettori sul monte e sono
immobili, nemmeno per un momento abbandonano la loro vittima. Le
esplosioni dei grossi calibri e delle bombarde s'illuminano di rosso
cupo, giallo e nei brevi momenti di pausa razzi di ogni colore
salgono verso il cielo che con la sua volta blu acciaio copre questa
possente, terribile scena di guerra. Tuona ininterrottamente. Sotto
di noi con Gorizia, nera, buia, illuminata a tratti solo dalle
vampate dei cannoni nemici, come da lampade tascabili. Ovunque spazia
l'occhio le stesse luci, dal Monte sabotino, dal Podgora, dalle
sponde dell'Isonzo fino a i monti ai margini dell'altopiano di
Doberdò. Una scena grandiosa, una possente sinfonia. E dove sono i
tappeti verdi, i boschetti di castagno, le oasi di nocciolo del San
Gabriele? Distrutti, dilaniati e come deformati dagli spasmi i
tronchi alzano verso il firmamento i rami mutilati.
Ma
andiamo avanti e il respiro si fa breve e procediamo incespicando,
meccanicamente, abbiamo esaurito la forza, l'energia per evitare i
coni luminosi e le zone più bersagliate e la morte ci è diventata
indifferente. Superiamo il paesino di Bonetti, ora la nostra stoica
guida addirittura corre, ci mostra l'unica fonte che fornisce l'acqua
a tutto il settore e si capisce il fuoco furioso degli italiani, la
corona di cadaveri attorno all'acqua. Raggiungiamo la prima caverna.
Dopo una breve pausa continuiamo a salire ansimando, le spalle a
Gorizia. Le immagini si fanno sempre più spaventose, alle 10 di sera
raggiungiamo la meta. Il calcolo dei tempi non coincide, dovevamo
essere sul posto alle 7,30. una caverna enorme con tre ingressi in un
ambiente angosciosamente deserto. Entriamo profondamente nella
montagna, i puntelli sono possenti, l'aria è calda e soffocante e la
grotta è stracolma di uomini. Un ventilatore a funzionamento manuale
ronza in un movimento ininterrotto. Procediamo tastoni alla luce
delle lampade tascabili, dappertutto stracci, vecchi bendaggi,
soldati che dormono sul nudo terreno, pareti gocciolanti e tutto
sdrucciolevole e maleodorante.
Corro
nella postazione vicina, ma non c'era nulla per orientarsi nel caos
di pietre, filo spinato e cadaveri. La luce dei riflettori impedisce
di valutare anche approssimativamente la distanza. La trincea, tranne
pochi resti, totalmente distrutta dai colpi, le poche caverne
stracolme di uomini, in piedi, pressati uno sull'altro. Ed il
battaglione dovrebbe raggrupparsi per l'attacco? E Chissà se, con
questo fuoco, si riuscirà almeno ad uscire! Ritornato nella caverna
la consegna è presto terminata e ora inizia l'attesa torturante. Il
caldo diventa insopportabile e togliamo le sopravvesti e stiamo
seduti madidi di sudore nello spazio reso ancora più stretto dal
nostro arrivo. Gli attacchi dell'artiglieria nemica si susseguono a
brevi intervalli rimbonbando nel cuore della caverna. I colpi che
centrano la copertura fanno tremare la struttura. Per illuminare si
utilizzano candele di resina e paraffina è roba misera, molle,
galiziana. Ci tormenta una sete terribile che non possiamo spegnere,
la fonte a Bonetti è contaminata dai cadaveri, nella caverna si
raccoglie l'acqua che gocciola dalle pareti e ci vuole un quarto
d'ora per una bottaccia. Nessun collegamento telefonico e a volte
funziona solo fino al vicino settore di Sveta Katarina, a circa
quattrocento passi, e di la, per mezzo di una stazione eliografica,
si riesce a mettersi in contatto ottico con la brigata che poi
trasmette i dispacci al reggimento. Dunque quasi un cerchio. L'inizio
delle operazioni è previsto per le 4. l'inquietudine mi spinge
continuamente davanti alla caverna, non si sente nulla, imperversa
solo il fuoco d'artiglieria. Sono ore di tormento. Arrivano le 11,
mezzanotte, 1, 2, 3 del mattino e sono sempre fuori e nessun segnale
della mia colonna.
11
settembre. Se il maggiore Malina inizia puntualmente l'attacco
principale, se la luce del giorno raggiunge il battaglione sul pendio
ben in vista, per gli italiani sarà come fare il tiro al bersaglio.
Che sfortuna inimmaginabile. Intanto le pause del fuoco nemico
diventano sempre più lunghe. I suoi riflettori non hanno scoperto
nulla e questo sembra averlo rassicurato per il resto della notte.
3.15 del mattino e già mi sembra di vedere l'alba e torno rassegnato
nel cuore della caverna. Finalmente è arriva l'ottava compagnia, poi
la sesta, mezza settima, un gruppo della quinta e mezza compagnia
mitragliatrici. Il resto è disperso, sparito; il capitano Grundneer,
comandante della 15a e della 16a compagnia, si presenta da solo,
manca la mia riserva.
Lo
stretto sentiero roccioso davanti alla caverna brulica di uomini e se
gli italiani ricominciano la musica tutto è perduto. Spunta l'alba.
Davanti
allo stretto camminamento si forma una ressa terribile, arriva
l'avvicendamento, ma si pigiano e passano tutti. Alle 3,30 del
mattino puntualmente 36 delle nostre batterie di ogni calibro
iniziano a sparare, una grandinata di ferro infuria sulle nostre
teste. Dall'altra parte non ci può essere più nulla di vivo.
Osservo la cima del San Gabriele: anche là è tutto nero per i fumi
provocati dalle esplosioni.
La
grande preparazione d'artiglieria scema alle 4. con grande energia si
riesce a preparare la fanteria per l'attacco solo alle 5,15 del
mattino. Un'ora e un quarto di ritardo! E' troppo chiaro per la
sorpresa. Sono davvero disperato.
E tuttavia cogliamo di sorpresa
gli italiani, di nuovo rassicurati dal mancato attacco immediatamente
dopo il fuoco tambureggiante. Veramente incredibile! E' accaduto il
contrario di quello che temevo e in teoria tutto sembra facile, ma la
pratica è un'altra cosa. I giovani sottotenenti avanzano decisi e
gli esausti fanti del 14mo, come sempre di una bravura e di un valore
che fanno venire le lacrime agli occhi, vanno all'assalto con loro
sfidando la morte. Il caposaldo a Nord viene preso e sgomberato
brillantemente. Il capitano Peternell, che avanza a sud del
caposaldo, cattura 5 mitragliatrici e prende prigionieri circa 100
italiani. Finora nessun rumore di battaglia sulla cima del San
Gabriele e mancano i collegamenti telefonici e sono tagliato fuori da
qualsiasi comunicazione. Ed ecco che il nemico inizia un uragano di
fuoco che spazza la terra come un'enorme scopa di ferro. Si sente
come un tintinnio di cocci. Le nuvole delle esplosioni producono
un'oscurità quasi notturna. Le fragili schegge di calcare cantano e
volano nell'aria. Un rumore assordante riempie lo spazio, è
impossibile orientarsi, esclusa qualsiasi comunicazione, qualsiasi
trasmissione di ordini.
Un
fuoco letteralmente martellante , un concetto del quale spesso si
abusa: non si può infuriare tutti i giorni, richiede un enorme
dispendio di munizioni e ha l'effetto di un violento evento naturale,
paralizzante, annientante, lo si può sopportare in buone caverne e
ma disporre della truppa è una chimera. In tali momenti con solo la
resistenza passiva e la sopravvivenza. Gli italiani attaccano, il
caposaldo a Nord va temporaneamente perduto e viene riconquistato, ma
il capitano Peternell, che si è ficcato nel sistema di trincee
italiano come un chicco di uva passa nel Kugelhupf, viene colpito
duramente dal fuoco di reazione italiano, deve ritornare nella sua
caverna e, purtroppo, abbandonare tutto il bottino. Il fuoco di
reazione diminuisce un po', ma per tutto il giorno batte la
posizione. L'attacco con il successivo martellamento, specialmente il
secondo attacco, ha causato gravi perdite, soprattutto nella 2a
compagnia mitragliatrici. Poichè la mia riserva, metà del IV
battaglione (capitano Grundner), non è ancora arrivata devo
impiegare due compagnie del 23o Jager con il loro plotone d'assalto
che nella mia caverna attendono ancora l'avvicendamento, gente
eccellente. Con il loro aiuto e con il reparto mitragliatrici del 52o
reggimento di fanteria, anche esso trattenuto perchè il mio mezzo
battaglione manca ancora, respingiamo solo con un'azione di
fiancheggiamento il tentativo di sfondamento italiano a nord del
caposaldo.
Grazie a Dio anche l'avvicendamento è finito. Ora
anche la mia caverna ha un po' di aria. Con un estremo bisogno di
posto, dei feriti si avvicinano faticosamente e non si può certo
trasferirli. Nessuno è disposto a ripercorrere una seconda volta la
terribile strada verso la sella di quota 408. le barelle abbandonate
con i feriti ammazzati che abbiamo visto durante la salita parlano
fin troppo chiaramente. I prigionieri italiani, almeno un paio,
devono venire trattenuti di nuovo per un primo rapido interrogatorio,
tanto forte è in loro l'impulso di lasciare questo luogo d'orrore. I
congedati spariscono come donnole, quelli leggermente feriti che si
uniscono a loro non riescono a seguirli. Vengono trasferiti
direttamente nella vallata del Vipacco.
La
nostra situazione diventa lentamente insostenibile. Il fuoco
dell'artiglieria nemica, divenuto violentissimo, colpisce soprattutto
le linee di collegamento. I miei bravi uomini tentano più e più
volte di stabilire il collegamento telefonico con il comando di
settore, come richiesto. Impossibile! Il fuoco d'interdizione, di
nuovo furibondo, non permette che funzioni nemmeno per un minuto.
Così non rimane che l'ultimissimo mezzo di collegamento, il più
antico: il portaordini, l'essere umano. Per questi valorosi le parole
di riconoscenza sono troppo poco. Per tutte le truppe il San Gabriele
è la pietra di paragone: chi viene su è oro, quale il valore dei
portaordini che spesso percorrono due volte al giorno questa via
infernale? Molti non tornarono più: le rocce carsiche dietro le
quali si trascinarono morenti divennero il loro monumento.
Nella
caverna buia come la notte gemono i feriti ed i moribondi, in poco
tempo vengono sistemati alla meglio 60 feriti gravi. Prontamente ed
ovviamente i sani fanno posto ed escono, verso morte certa. Immagini
terribili dentro e fuori dalla caverna, di un orrore che nessuna
fantasia è in grado di descrivere e che vorrebbero cadere
nell'oblio. Gli spazi della caverna stracolmi di feriti diventano
come stanze piombate. Sudiamo nel puzzo come in un bagno turco e
nelle compagnie la situazione non è diversa. Le cattive notizie si
susseguono. Sono soprattutto i colpi delle grosse bombarde a fare
molti morti; ogni volta crediamo che la caverna stia per crollare
tanto la struttura massicciamente puntellata trema sotto la violenza
degli impatti. La notte anche se l'accecante luce dei riflettori fa
sembrare questo nome fuori luogo e aumenta l'inquietudine, tormentati
dall'angoscia non possiamo pensare al riposo. Le ore scorrono con una
lentezza infinita. Il fronte tiene! 12 settembre, 6 del mattino, di
nuovo un furioso fuoco d'artiglieria, vediamo l'area del fuoco
d'interdizione fino a valle e tutto diventa nero per le nuvole delle
esplosioni. Tuttavia mi sento molto più tranquillo. Fortunatamente
il capitano Grundner ha di nuovo una parte del suo mezzo battaglione.
Un
attacco a fuoco italiano, seguito poco dopo da un vivace fuoco di
fanteria e da grida Avanti! rende superfluo ogni rapporto sulla
situazione. Quando poi un bravo fante del 14o urla nella caverna:
Aussa, wer no zwa Hand e hat, die Katzinger san do! (Forza, chi a ha
ancora due mani, quelli sono qui!) tutti escono come furie dalla
tana. Li seguo zoppicando, il capitano Grundner spara razzi
illuminanti e la valorosa artiglieria è all'erta. Reagisce
prontamente e i grossi calibri volano sopra la nostra ala destra e ho
capito perfettamente la direzione dei razzi. Rapidamente il tenente
Pernklau porta in posizione le mitragliatrici di riserva e l'attacco
si frantuma. Rimaniamo fuori e lo spettacolo cattura ed eccita ogni
fibra. Alle 6,25 del mattino la cresta del San Gabriele, soprattutto
la quota 552, diventa nera e la soffia una bora di fuoco. Si vedono
figure che saltano qua e la, alzano le mani ed i calibri più grossi
che si abbattono su di loro senza pietà. Gruppi si arrampicano su e
giù ed ora anche la nostra artiglieria semina distruzione. I pupazzi
continuano a ballonzolare sgomenti finchè scure nuvole di fumo
nascondono il dramma. La grandinata d'acciaio copre tutta la dorsale
del monte. Nessuno capisce più nulla, nessuno sa che cosa significhi
tutto ciò, non sappiamo nulla del gruppo Malina, ma è in corso una
battaglia, lassù infuria una battaglia dal cui esito dipende anche
il nostro destino. Per tutta la giornata anche noi siamo sotto un
fuoco violento. Alle 9,45 del mattino la tensione lascia il posto ad
una grande gioia e vediamo gli italiani, che sotto la cima del monte
brulicano come formiche, ondeggiare e ritirarsi offrendo un ottimo
bersaglio alla nostra artiglieria. Il pensiero è crudele, ma la
resistenza passiva sotto questo terribile fuoco italiano e
l'impossibilità di difenderci -, essere costretti a guardare inerti
tutte quelle morti, ci rende feroci, pieni d'odio e crudeli. Siamo
tutti gialli e rossi come indiani e siamo appiccicosi per il sudore e
la sporcizia. Alle 10,45 del mattino inizia un pesante fuoco di
bombarde sulla nostra linea. Gli scoppi sono impressionanti, sentiamo
la pressione dell'aria fin nel fondo della caverna. Alle 11,45 inizia
un vortice di fuoco di fortissima intensità , attendiamo un attacco
italiano perchè romba anche la nostra artiglieria. Il rumore
infernale decresce. Ancora una volta si lamentano gravi perdite.
Secondo i rapporti delle compagnie, degli uomini portati su, compreso
il mezzo IV battaglione, mi rimangono ancora 26 sottufficiali e 375
uomini, due mitragliatrici e 250 fucili in posizione. Ancora un
giorno così e saremo annientati. Chiedo due compagnie di rinforzo.
4
del pomeriggio. Un potente colpo di bombarda davanti alla caverna
spegne la candela! Grida urla! Gas! Fuoco! Non trovo la mia maschera,
sono talmente rauco che non riesco a chiamare il mio attendente,
Franz Dubowy, un fedele e valoroso moravo tedesco di Limbau. Grundner
fa luce, batter di pugni sul rivestimento della nostra stanza e si
grida al fuoco. Entrano spesse nuvole di fumo! Grazie al cielo, sono
i fumi delle esplosioni, sfondiamo la parete, tiriamo verso di noi
quattro uomini e l'uscita della loro caverna è ostruita da macerie e
cadaveri. Calmiamo la truppa, trasciniamo dentro un tenente del 52o
reggimento di fanteria svenuto, due ufficiali dello stesso reggimento
si precipitano nella nostra stanza in preda ad uno shock nervoso. Di
nuovo una scena lacerante. Sbrogliamo il caos. L'esplosione ha
provocato 12 morti e molti feriti. Non si possono seppellire i
cadaveri e giunge anche la notizia che due caverne del caposaldo
aNord, conquistato, sono andate perdute. Il sergente Failmayer tiene
ancora le altre tre con 15 uomini della 5a compagnia. Paura di
impazzire. Nel pomeriggio giunge dal reggimento la magnifica notizia
che il messaggero della lieta novella purtroppo cade sulla via del
ritorno e che il gruppo alla quota trigonometrica ha catturato 600
italiani, un successo clamoroso che trasmetto subito alla prima
linea. Dunque ora il fianco destro, il monte infido, è sicuramente
in mano nostra. Grande entusiasmo, arrivano anche il rancio ed il
vino, la truppa valorosa riceve le porzioni dei poveri caduti e dei
feriti, con da mangiare in abbondanza. Cresce la fiducia,
l'elasticità degli Hessen è incredibile. Per breve tempo ci
inquieta la notizia enigmatica che nella zona del comando di settore,
dunque alle nostre spalle, si raccolgono in avanti masse di italiani
senza fucile. La notizia arriva da Sveta Katarina, poco dopo
riusciamo a tranquillizzare il vicino, si tratta certo di
prigionieri, ed ovviamente è proprio così.
8
di sera ci vengono portati otto italiani del 280 reggimento di
fanteria. Tra loro c'è uno svizzero naturalizzato che descrive tanto
vividamente la miseria dall'altra parte che ci fa sentire quasi
vincitori. Anche dall'altra parte il monte ha una cattiva fama come
del resto indica il suo nome: Monte della morte.
13
settembre. Non sono superstizioso nel senso comune del termine, ma il
13 è un giorno sfortunato. Alle 2 del mattino giunge al mio settore
l'appoggio richiesto, due compagnie del 77o reggimento di fanteria
con quattro mitragliatrici ed un plotone tecnico al comando del
capitano Schubert. Scoppia un violento temporale, nell'afa opprimente
della caverna il fresco rinfrescante ha un effetto piacevole e ci
ristora sentire il corpo madido di sudore che si asciuga. Ed ecco che
di nuovo nei corridoi bui risuona il grido: Die Katzinger san da! In
tre minuti siamo tutti in allarme, il tenente Pernklau porta in
posizione le mitragliatrici, ora numerose, il sottotenente
Frauendorfer ed il capitano Grundner sparano razzi illuminanti in
quantità. Il violento crepitio dei fucili all'ala destra viene
inghiottito dalle nostre granate ed alle 4 del mattino l'attacco
italiano nella zona morta del pendio meridionale del San Gabriele
verso la punta nord-occidentale del monte è respinto facilmente. Ora
una parte del mio battaglione viene rimpiazzata dal 77o reggimento di
fanteria e dalle nostre riserve (mezzo IV battaglione). I due plotoni
del capitano Grundner devono intraprendere la via verso il martirio
sotto il violento fuoco di ritorsione italiano, nella luce
abbagliante dei riflettori nemici, senza un sentiero riconoscibile,
nel pietrisco. Il camminamento disseminato di cadaveri presenta
interruzioni apparentemente impossibili da rimuovere, ma bisogna
riuscirci perchè il mattino si avvicina e poi non ci si potrà più
muovere. Per tre volte ci si mette in marcia, gli uomini sono
volonterosi e capaci e sono soldati di prima classe. L'avvicendamento
riesce. Sono di nuovo oppresso dalle preoccupazioni perchè il
caposaldo a Nord è irragiungibile. Un pesante fuoco di sbarramento
lo separa dalla nostra linea. E' quasi incredibile, dal mattino
dell'11 settembre con un sottufficiale con 11 soldati completamente
isolato davanti alla prima linea, vive delle provviste italiane,
cattura due mitragliatrici, con quella completa spara da mitragliere
esperto perchè trova casse di munizioni e va a prendere l'acqua da
una fonte utilizzata anche dai nemici mentre su di lui sparano la
nostra artiglieria e quella nemica. La giornata nella postazione è
relativamente tranquilla rispetto alle precedenti. Il fuoco nemico è
sulla linea della dorsale e come sempre sulle vie di marcia. Il sole
splende in un cielo senza nuvole. Gorizia scintilla ai nostri piedi e
vediamo il mare. Un contrasto stridente con la realtà, attorno a noi
c'è un orrendo cimitero, la puzza è insopportabile, ma i laboriosi
Hessen fanno ordine nella caverna. Per questa stalla senza uguali ci
vorrebbe un Ercole.
15
settembre. Nessuno attende più il cambio, ma all'ultimo minuto, alle
3,45 del mattino, appare la testa della prima compagnia. Alle 4 passa
la nostra prima compagnia, il capitano Peternell deve rimanere ancora
un giorno perchè sorge il sole. Alle 3 del pomeriggio ricevo un
nuovo ordine d'attacco per riconquistare il caposaldo aNord. Faccio
rapporto e spiego che è impossibile perchè grazie al cielo il mio
povero battaglione è già andato via ed è stato sostituito. Il sole
rende la vita di nuovo desiderabile. Il monte San Gabriele risplende
giallo paglia, avvolto nel balenio dei lampi come se il dio del tuono
in persona sedesse lassù. Il 16 settembre trascorre sordo e muto.
Nella notte dal 16 al 17 settembre ricevo un nuovo incarico dalla 18a
brigata di fanteria, con due compagnie del mio battaglione devo
attaccare lo sventurato caposaldo a Nord. Impartire subito l'ordine,
fare rapporto sulle disposizioni. Redigo le disposizioni su una cassa
di munizioni e dover impiegare ancora una volta i resti del
battaglione, in tutto forse due compagnie che già riposavano nel
campo di Pri Peci e doverli condurre ancora una volta nella fossa
comune mi procura una profondissima amarezza.
L'ordine
viene revocato e il 17 settembre posso lasciare il diabolico monte
dal pio nome.
Università
degli studi Cà Foscari Venezia - Facoltà di Storia - docente prof.
Acciarino Damiano - partecipante in qualità di uditore
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