Paolino abita davanti allo stadio. La storia d’amore tra Paolo Poggi, il Venezia e i suoi tifosi p.2
Per
la quarta volta, dopo l’esordio professionistico e i due ritorni
targati 2002 e gennaio 2004, Paolo Poggi torna dunque a vestire
l’amata maglia arancioneroverde nell’estate del 2006. Se il
biennio precedente, per il bocia di Sant’Elena, è stato costellato
di soddisfazioni, altrettanto non si può dire per il Venezia: al
terzo tentativo, nel 2004/05 Franco Dal Cin riesce infatti a far
retrocedere la squadra (allestita in maniera imbarazzante),
togliendosi anche la soddisfazione di invischiare la società nella
fosca faccenda della compravendita dell’ultima partita di
campionato con il Genoa e, non contento, portando nell’estate del
2005 i libri contabili in tribunale causa fallimento. Un’annata
purtroppo indimenticabile per il tifoso veneziano, al termine della
quale l’unica soddisfazione sembra quella di poter, finalmente,
ripartire da zero, perlomeno con un progetto degno di questo nome.
Il
sindaco Massimo Cacciari affida il nuovo corso del calcio lagunare ad
una cordata di imprenditori locali guidata dalla famiglia Marinese,
che approfitta del Lodo Petrucci per ripartire dalla serie C2 anziché
dai Dilettanti. Nel 2005/06, nonostante un avvio di campionato
disastroso a cui segue l’esonero di Andrea Manzo in favore di Nello
Di Costanzo, la squadra vince il proprio girone e sale in C1,
mettendo in mostra un collettivo forte con alcune ottime
individualità specie in attacco: i giovani Moro e Pradolin
(quest’ultimo sino a pochi mesi in curva a tifare e tirato a lucido
dal nuovo allenatore) sono la faccia bella di un Venezia che gioca
bene e richiama allo stadio un pubblico sempre più numeroso e
appassionato. È il “Di Costanzo show”, come si sente cantare
dagli spalti subito dopo le prime vittorie portate dal nuovo corso di
Nello, allenatore capace e mai banale nelle dichiarazioni, dotato di
umanità e intelligenza. Se la vita è un insieme di reazioni
chimiche, non fa eccezione lo sport e lo dimostra proprio il biennio
di Nello Di Costanzo in laguna: tra il mister, i tifosi e la squadra
si instaura una chimica perfetta, quelle cose che non capitano
spesso, tantomeno alla tua squadra, tantomeno se si chiama Venezia.
C’è
forse un solo modo per creare ancora maggiore empatia nell’ambiente
e lo capiscono subito i fratelli Poletti, ad inizio stagione partner
di minoranza nella cordata Marinese e divenuti con il passare dei
mesi presenza sempre maggiore e sempre più ingombrante nelle quote
societarie. Di certo, con quella faccia per entrambi rubiconda e
l’entusiasmo di chi diviene improvvisamente un personaggio
conosciuto, Ugo e Arrigo Poletti in un primo momento suscitano
simpatia, anche nelle banche che concedono loro ampi crediti. Parte
di questi, viene investita sul Venezia, spodestando di fatto la
famiglia Marinese per assumere il pieno controllo della società, di
cui Ugo e Arrigo Poletti divengono quindi i vertici. Il mercato per
la serie C1 è di quelli importanti, specie nel reparto d’attacco
dove vengono presi Francesco Zerbini e, appunto, Paolo Poggi, mossa
perfetta sia per il campo (a Mantova ha dimostrato di essere ancora
un signor giocatore), sia per ingraziarsi definitivamente l’ambiente.
Missione compiuta, perché l’entusiasmo, ai nastri di partenza
della stagione 2006/07, è palpabile.
Palpabile
e ben riposto: il Venezia di Nello Di Costanzo è una macchina quasi
perfetta, che sin da inizio campionato si insedia nelle zone alte
della classifica. Poggi si inserisce in questo meccanismo con la
consueta umiltà, facendo sentire ai più giovani l’attaccamento ai
colori arancioneroverdi e dispensando perle di intelligenza per il
campo. Dopo Udine, il suo modo di giocare è cambiato, non fosse
altro per l’età: le sgroppate sulla sinistra hanno lasciato spazio
ad un gioco più ragionato, libero di agire a supporto di una punta
centrale. Lontano un miglio, si vede subito che quel giocatore è di
un altro spessore rispetto al 99% dei colleghi della serie C, eppure
ciò non gli impedisce di essere il primo a dare l’esempio quando
si tratta di correre, lasciando da parte il fioretto per tirare fuori
la sciabola. Per una tifoseria, non c’è cosa più bella di vedere
il proprio stesso sentimento verso la maglia emergere dal
comportamento di un giocatore: in quel Venezia, composto da
“nostrani” come Poggi, Collauto, Pradolin, Scantamburlo e da
“figli adottivi” come Aprea, Lotti, Servidei, Moro, ogni tifoso
vi può ritrovare la stessa passione e questo contribuisce a rendere
ancor più magica un’annata comunque importante dal punto di vista
sportivo. All’ultima giornata di campionato, infatti, un gol oltre
al 90° di Romondini contro il Pisa regala al Venezia di Nello Di
Costanzo il meritatissimo accesso alla fase dei playoff per
conquistare la serie B. Ironia del destino, sarà ancora il Pisa
l’avversario degli arancioneroverdi, costretti poi a soccombere
nella doppia sfida di semifinale (1-1 al Penzo, 3-1 toscano all’Arena
Garibaldi), ultimo atto del “Di Costanzo show”: l’allenatore,
difatti, si farà ammaliare dalle sirene della serie B accettando
l’offerta del Messina, dove lo seguirà anche Marco Moro.
Nella
successiva estate 2007 iniziano ad emergere i primi scricchiolii in
seno alla società, tuttavia inizialmente le voci attorno ai fratelli
Poletti e alla loro situazione finanziaria vengono rappresentate come
le solite “cassandrate”: purtroppo non sarà così. Poggi e gran
parte della squadra vengono confermati, mentre in panchina arriva
dalla Primavera della Juventus Giancarlo Corradini: la sua esperienza
arancioneroverde dura una sola giornata di campionato (1-2 in casa
con la Cremonese), abbastanza secondo Arrigo e Ugo Poletti per
sancire l’immediato esonero in favore di Fulvio D’Adderio. La
chimica che si era instaurata nel gruppo con Di Costanzo, però, è
frattanto svanita, complice pure una gestione dirigenziale poco
chiara. Il campionato (tra l’altro quello in cui il Venezia
festeggerà il Centenario) è anonimo, tanto che a marzo i Poletti
optano per un ulteriore avvicendamento tecnico, chiamando il
veneziano Michele Serena a dare un’anima alla squadra. La stagione
termina con l’undicesimo posto, specchio fedele di un’annata
piatta, senza sussulti e giornate da ricordare gelosamente. A fine
stagione, gli scricchiolii dell’estate precedente sono nel
frattempo divenute vere e proprie crepe, ad intaccare le fondamenta
del progetto sportivo arancioneroverde: le Cassandre avevano ragione.
Nel
2008/09 Paolo si prepara ad affrontare la terza stagione consecutiva
al Venezia; forse vorrebbe appendere gli scarpini al chiodo, ma la
situazione societaria impone altro: serve unire le forze di tutti
coloro che amano il Venezia per affrontare un campionato che si
preannuncia sin dall’inizio difficoltoso, fuori dal campo
soprattutto, e la figura di Poggi è fondamentale per tenere unito
l’ambiente. Non è il solo, però, a battersi come un leone: in
panchina c’è Michele Serena; sul terreno di gioco, oltre a Paolo,
l’altro veneziano Mattia Collauto ed i portieri Lotti e Aprea
costituiscono l’anima e la spina dorsale di un gruppo costruito con
poche risorse e che, sin dai primi mesi, fatica a ricevere gli
stipendi. Si naviga nei bassifondi e i Poletti hanno la brillante
idea (contro il parere della squadra) di esonerare all’undicesima
giornata mister Serena; al suo posto arriva Stefano Cuoghi, ma i
risultati non mutano di una virgola e, anzi, peggiorano. Dopo altri
12 turni, la società è costretta a ritornare sui propri passi
richiamando Serena, con il quale la squadra dimostrava perlomeno
carattere: l’allenatore ricompatta il gruppo e inizia una risalita
che consente al Venezia di evitare la retrocessione diretta e di
agguantare i playout (avversaria la Pro Sesto), anche sulla spinta di
indiscrezioni sempre più concrete che danno per compiuto il
passaggio di proprietà verso mani in apparenza più sicure.
Si
arriva così al “dentro o fuori” contro la Pro Sesto, decisivo
pure ai fini del ventilato cambio al vertice della società: se si
vince si rimane in serie C1 e arriva una misteriosa proprietà
iraniana (presidente tal Shardhad Golban) a rilanciare il calcio
veneziano verso palcoscenici prestigiosi; se si perde, invece, non
solo si retrocede sul campo, ma in aggiunta si fallisce e si torna
tra i Dilettanti. Insomma, quella pressione che fa bene alle
coronarie del tifoso, il quale si aggrappa alla doppia sfida con la
Pro Sesto come all’ultimo salvagente prima di affondare per la
seconda volta in pochi anni. Ad aggiungere ulteriore pepe vi è poi
altro, dato che nelle settimane precedenti è divenuto ufficiale ciò
che molti sospettavano: a fine stagione Paolo Poggi lascerà il
calcio giocato.
L’ultimo
atto di Paolino al Penzo inizia con la consegna di una targa
celebrativa. Una cosa che ricordo solo ora, rivedendo alcune
immagini: troppa la tensione per il primo capitolo di quella doppia
sfida playout, tale da far passare in secondo piano anche il saluto
del “mio” idolo al “suo” stadio, quello che ha circondato la
giovinezza del giovane Paolo trascorsa con un pallone tra i piedi
nella pineta di Sant’Elena. Non c’è Poggi che tenga quando sei
con l’acqua alla gola e la squadra del tuo cuore rischia il
fallimento: lo sa anche Paolino, perché anche il suo, di cuore,
batte per l’arancioneroverde e, infatti, fa scorrere via quella
breve cerimonia senza allungarla con gesti particolari, concentrato
unicamente sul campo. Riceve la targa, la consegna alla panchina e si
rituffa sul campo dove c’è una vittoria da conquistare, senza
tanti fronzoli.
A
fine primo tempo, il risultato è ancora di 0-0, equilibrio spezzato
al rientro in campo dal vantaggio della Pro Sesto.
“Puttanatroiasiamofottuti”, pensa all’unisono tutto lo
stadio, ma fortunatamente, alla pochezza tecnica, il Venezia
sopperisce con un gran carattere: dopo 15 minuti dal vantaggio
ospite, Malatesta trova la parità e a 10 minuti dalla conclusione,
Momentè porta avanti i lagunari. Non bastasse, in pieno recupero
ancora Malatesta sigilla il 3-1, risultato forse pure troppo largo,
ma poco importa. Ciò che importa è che il Venezia possa andare a
Sesto S.Giovanni avanti di due reti e che Paolino Poggi (uscito sul
punteggio di 1-1 a metà secondo tempo) sia riuscito a congedarsi dal
suo Penzo con un successo pesantissimo. “Peccato non gli abbiano
dato neppure una targa”, penso tra me e me mentre esco dallo
stadio, ancora ebbro di gioia e decisamente poco lucido.
Sesto
San Giovanni la conoscevo, di fama, sin da ragazzino: troppo
accattivante l’appellativo di “Stalingrado d’Italia” per non
subirne il fascino. La naturale simpatia, ispirata da questa
cittadina per la propria storia di Resistenza e di lotte operaie,
subì una temporanea interruzione in quella tarda primavera del 2009,
in cui per la salvezza del Venezia sarei stato pronto a disconoscere
qualsiasi riferimento politico o culturale; mi avvicinai dunque al
match di ritorno ovviamente preoccupato non fosse sufficiente il
doppio vantaggio maturato al Penzo e con una vaga, insana ed atipica
simpatia verso lo zar, fortunatamente mai più ripresentatasi.
In
realtà la sfida di ritorno a Sesto San Giovanni ha ben poco storia:
i lombardi non danno mai l’idea di poter ribaltare il risultato, a
maggior ragione dopo il vantaggio veneziano a firma “Ibe-Ibe”
Ibekwe; al triplice fischio, è 1-1 e per il Venezia e i quasi 1000
tifosi al seguito può scatenarsi la festa. Lungo l’autostrada, i
bus della squadra e dei tifosi si danno appuntamento in autogrill e
sul piazzale antistante tutti ballano, tutti si abbracciano, tutti
cantano; anche cori goliardici a favore dell’Iran e della nuova
presidenza, che in quelle ore sembra capace di evitare il fallimento
facendo tornare i colori arancioneroverdi, in poco tempo, su
palcoscenici maggiori. Poggi dunque si congeda dal calcio giocato
raggiungendo quello che sembra il traguardo necessario a dare un
futuro al calcio in laguna, preludio ad un avvenire in cui, magari,
iniziare a dare una mano da dirigente.
Non
sarà cosi, purtroppo: Golban, con il suo fantomatico progetto
iraniano, sparirà nel giro di poche settimane, i fratelli Poletti
faranno affondare il Venezia. Gli sforzi compiuti dalla squadra
(senza stipendio da mesi), la festa seguita alla salvezza, i progetti
di rilancio: alla luce degli sviluppi estivi, tutto assume i contorni
della tremenda beffa, ulteriore presa in giro per una piazza che
assisterà, durante quell’estate del 2009, al secondo fallimento in
pochi anni, forse ancora più amaro del primo proprio per
quell’illusione di “scampato pericolo” che l’aveva preceduto.
CONCLUSIONE
Nel
2009/10 il Venezia riesce ad iscriversi in serie D grazie a qualche
imprenditore locale, mentre Paolo Poggi inizia da Mantova il percorso
dietro la scrivania; un percorso che lo porterà, nel 2013,
nuovamente in Friuli, dove si occuperà del settore giovanile
dell’Udinese. Contemporaneamente il Venezia è nel pieno della sua
“rivoluzione russa”, iniziata due anni prima con l’arrivo di
Yuri Korablin alla presidenza, a cui segue uno Scudetto di serie D e
una doppia promozione sino in LegaPro (il corrispettivo della
“vecchia” C1). Più che una rivoluzione, tuttavia, si tratta
della solita minestra: nell’estate del 2015, per la terza volta in
meno di un decennio, la maggior realtà sportiva della città
dichiara fallimento e si prepara a ripartire, ancora, dai Dilettanti.
Dai russi, si passa alla cordata americana capeggiata da Joe
Tacopina, presidente statunitense di origine italiane a cui si può
rimproverare tutto, ma non passione e capacità di percepire l’umore
della piazza; tra le sue prime decisioni, vi è quella di richiamare
alcune bandiere del passato per far parte del nuovo corso e, tra
queste, non può mancare Paolo Poggi che, nel 2016, fa così ritorno
per l’ennesima volta nella società che più ama.
Oggi,
all’inizio di questa casalinga primavera 2020, Paolino è ancora un
dirigente di primo piano del Venezia e già questa, per me, è una
buona cosa, non fosse altro perché nel frattempo non sono
intervenuti ulteriori fallimenti e gli arancioneroverdi, nel giro di
un paio di stagioni, sono riusciti a risalire dai Dilettanti ad una
serie B che mancava da oltre un decennio. Sinceramente non so quanto
il progetto americano possa ancora durare e, visti alcuni recenti
sviluppi, non mi stupirei se tra qualche mese il Venezia dovesse
nuovamente partire da zero.
Quando
mi prende il pessimismo cosmico, comunque, penso a Poggi, al suo
attaccamento per questi colori, ad una resilienza tipicamente
veneziana; e mi convinco che, finché ci sarà lui, qualcosa di buono
capiterà sempre. Magari è esercizio inutile, però è terapeutico e
tanto basta. Vive ovviamente ancora a Venezia, Paolino, ora nel
sestiere di Cannaregio, lo stesso dove mi sono trasferito a mia
volta; assicuro si tratti di una coincidenza, sia mai qualcuno
volesse accusarmi di stalkeraggio. Comunque, per la cronaca, la
distanza tra le due abitazioni, curiosamente, è praticamente la
stessa che ci separava a Sant’Elena, però al momento non gli ho
ancora suonato il campanello. Non ho mai avuto l’occasione
di confessargli questo mio irrazionale amore nei suoi confronti e,
anche fosse capitata, me la sarei fatta sfuggire, più o meno di
proposito. Ci ho anche giocato, insieme a Poggi, su un campo di
calcio, nella medesima squadra: categoria amatori, Nettuno Lido,
campione d’Italia 2009. Non è da tutti dividere lo spogliatoio con
il proprio beniamino, eh, dite la verità? Sì, ok; forse non era
Paolo, era Stefano, il fratello minore, però cosa importa? Il mio
bimbo interiore di 8 anni, ancora lì imbarazzato davanti ad una
porta sconosciuta, è stato felicissimo lo stesso, come un pomeriggio
di metà settimana di tanti anni fa.
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