Questo nostro pauroso vagare per sentieri che non conosciamo
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Le
occasioni della vita sono infinite e le loro armonie si schiudono
ogni tanto a dar sollievo a questo nostro pauroso vagare per sentieri
che non conosciamo.
“ La 4° (sezione lanciafiamme) ha al suo attivo, tra gli altri, un famoso turno a Quota 126 del Vippacco. Andarono su in settanta, e poi, chissà per quali strane successioni di passaggi da una dipendenza all’altra vennero dimenticati. Dopo novantadue giorni di trincea, in pieno inverno, si trovò chi poteva assumere la responsabilità di conceder loro il riposo: e calarono giù i dieci superstiti, veri scheletri ricoperti di fango, deboli macchine senza volontà…calarono giù, e dopo poco li rispedirono a quota 89 di Monfalcone" “… La pioggia continua snida dal terreno il puzzo della vecchia orina; e in certi posti si è costretti a strisciare a terra, mettendo le mani sopra ogni genere di roba, magari su qualche decomposto pezzo di soldato.” “ La qualifica di trincea, sulla nostra destra, è un po’ eccessiva: gli uomini hanno come tutto riparo un muretto di pietre accostate alto un palmo e ci stanno dietro supini o stesi sul ventre. I fianchi sono protetti da traverse perpendicolari, al
La scoperta e la successiva decifrazione della Stele di Rosetta (una lastra di granito con la stessa iscrizione ripetuta in geroglifico, demotico e greco antico) hanno posto le basi per la comprensione dei geroglifici e per la nascita dell’Egittologia, lo specifico settore dell’archeologia che studia tutti gli aspetti dell’antica civiltà faraonica. Trovata in Egitto dalle forze conquistatrici di Napoleone nel 1799 e decifrata pochi anni dopo dal francese Champollion, la Stele di Rosetta ha una storia avventurosa che vale la pena di essere raccontata. La Stele di Rosetta è una lastra di granito di colore grigio scuro, è alta 112,3 cm, larga 75,7 cm e pesa quasi 800 kg. Si tratta in realtà del frammento di una stele più grande la cui restante parte è andata perduta. Su di essa è iscritto il testo di un decreto sacerdotale che afferma il culto del faraone Tolomeo V Epifane. La stele è stata datata al 196 a.C., epoca in cui il regno tolemaico affrontava una crisi interna: il consiglio sace
Roma antica abbondava di raffigurazioni di falli sparsi un po’ ovunque nelle città, che quotidianamente si materializzavano davanti agli occhi di uomini, donne e bambini. Molti usavano indossarli appesi a dei braccialetti o a delle collane, così come si faceva con i bambini fin dai primi giorni di vita, inserendoli all’interno della loro bulla; persino i generali, nel giorno del loro trionfo, non rinunciavano a posizionarne uno sotto il proprio carro. Non era neanche strano imbattersi in alcune processioni, nelle quali simbolicamente ne sfilavano di vistosi, eretti e imponenti. Ma come mai nessuno si scandalizzava? La risposta è semplice: dall’organo genitale maschile, maestoso simbolo di fertilità, si generava la vita da contrapporre alla morte; del resto, ancora oggi ne sopravvive la credenza del potere simbolico di esorcizzare il possibile imminente pericolo, facendo produrre agli uomini una leggera tastatina ai propri testicoli. I falli erano concepiti come un imprescindibile talis
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